Sehnsucht
Stefano Pasquini è un mio amico e un artista che stimo, questo però non mi impedisce di conoscerlo meglio ogni volta che vedo i suoi lavori, o per lo meno ho la pretesa di carpire nuovi aspetti del suo subconscio che forse anche a sua insaputa emergono nelle condensazioni e spostamenti di significato che le opere d’arte producono.
Come giustamente ci fa comprendere Freud alla base di questi meccanismi sta un’energia repressa che si libera grazie alle infrazioni alla regola che contrastano le imposizioni sociali. Nei lavori che hanno per soggetto i santini di catechetica memoria, incollati, scocciati o legati a improbabili rocce stimolano molte associazioni mentali e anche collegamenti con i precedenti lavori di Stefano. La prima associazione è tra la pietra e un noto passo biblico che più o meno recita così: “Piuttosto che scandalizzare uno di questi più piccoli è meglio mettersi al collo una pietra e buttarsi nelle acque”. La seconda è con l’immaginetta sacra che veicola una fede a volte infantile al limite della superstizione, ma al contempo anche un oggetto del desiderio generazionale che accomuna bambini e anziani, gli uni per sognare il cielo, gli altri per scongiurarne la paura.
Ma cosa produce la congiunzione di questi due elementi? Sapendo che Stefano Pasquini recentemente si è fatto addirittura sbattezzare, questo testimonia indubbiamente una ricerca spirituale dell’artista che esula da qualsiasi ipocrisia, formalità o istituzione in favore di una ricerca del vero e del puro che già in passato cercava bendato in una performance brancolando alla ricerca dell’ideale perduto, vittima di una romantica Sehnsucht. Erroneamente si traduce il termine Sehnsucht Nostalgia, in realtà la nostalgia è il desiderio di ciò che abbiamo perduto, la Sehnsucht invece letteralmente è la ricerca spasmodica di vedere qualcosa che sentiamo esistere, ma che non abbiamo mai visto. E’ proprio questa brama che diventa motore di una ricerca che fuoriesce nell’iperproduzione, nella conservazione trasformata di ogni oggetto o reperto del quotidiano il quale viene sublimato e distillato passando per il filtro dello “Streben”.
Si passa dall’iperbole all’ossimoro senza mai dimenticare l’ironia, non a caso spesso l’ho chiamato Charakter, proprio per sottolinearne la saturnina lunaticità…
Annalisa Cattani, 2010